("Persona", I. Bergman) |
Alma ed Elisabeth.
Alma è Elisebeth.
Elisabeth è Alma.
Un unico volto. Due mezzi volti. La metà peggiore, rinnegata, del volto di ciascuna.
Ha occhi solo per guardare se stesso.
Alma è Elisebeth.
Elisabeth è Alma.
Un unico volto. Due mezzi volti. La metà peggiore, rinnegata, del volto di ciascuna.
Ha occhi solo per guardare se stesso.
È un volto cangiante che insulta, molesta, ride e si prende gioco delle sue metà. Muto, protesta e rinuncia. Sospende e vivifica il dolore. Su di lui ha suono il silenzio di Elisabeth e si fa afona la verbosità di Alma. Discrimina ciò che ognuna è per se stessa, da ciò che è per e dell’altra. Lancia sortilegi, improvvisa trucchi da circo e lascia la verità libera di trasmutarsi. Il bianco e nero di cui si veste è invocazione, supplica e preghiera. Agognata via di scampo. Prima di tutto dal linguaggio. Artificiale, equivoco, menzognero. Spesso, solo sedativo di un vuoto.
Al riparo dalla vita, non c’è azione. Tutto è narrazione, ricordo di ciò che è stato, posa, gesto ad al culmine schiaffo e carezza. Eppure un’urgenza c’è: “avere accenti sinceri”. Esser riconosciuti e riconoscersi. Abbandonare l’ostinazione e la ferocia del dramma. Mediare sogni, fantasie, esplosioni di follia, spasimi di fede, fino a rappresentarsi da soli le proprie realtà.
È un gioco, è una fame da bambino.
Al riparo dalla vita, non c’è azione. Tutto è narrazione, ricordo di ciò che è stato, posa, gesto ad al culmine schiaffo e carezza. Eppure un’urgenza c’è: “avere accenti sinceri”. Esser riconosciuti e riconoscersi. Abbandonare l’ostinazione e la ferocia del dramma. Mediare sogni, fantasie, esplosioni di follia, spasimi di fede, fino a rappresentarsi da soli le proprie realtà.
È un gioco, è una fame da bambino.
È curiosità, una illimitata, mai appagata, insopportabile curiosità.
È riuscire a “toccare i segreti senza le parole.”